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non deve mai uscire dalla coscienza nè nel descrivere i fatti, nè nel dare la ragione di essi; anzi, rendere ragione dei fatti non è che ordinarli nel pensiero e scriverli secondo che realmente si succedono; perciò il Testa si congratula con quei lettori che nulla di nuovo troveranno nel suo libro, perchè in siffatta materia, novità equivale ad errore.

Noi siamo d'accordo con lui nel predicare la necessità di una riflessione interna, larga, libera, indipendente; ma egli certamente s'illude quando pretende che altri non abbia a trovare nulla di nuovo nella esposizione da lui fatta dei fenomeni interni. La coscienza psicologica talvolta è dubbiosa, talvolta si contraddice; ognuno può parlare solo della sua, non potendo confrontarla colle altre; essa è priva, come giustamente diceva il Leibnitz. di porte e di finestre. Nella filosofia del sentimento e del volere, che sono fenomeni di natura svariatissima, più indeterminati e più numerosi delle percezioni, c'è qualche cosa di infinito in molti punti, anche elementari, per cui talvolta neppure i più grandi maestri riescono a penetrarvi sino al fondo e significare con evidenza quello che sentono; è quindi soverchia la pretesa del Testa che i lettori abbiano a trovare tutto chiaro e distinto ciò che egli tolse dal fondo della sua coscienza. Già il Galluppi molto aveva giovato alla psicologia in Italia; già l'Herbart in Germania aveva pubblicato (1816) il Trattato di psicologia, innalzando questa al grado di vera scienza; ma il filosofo piacentino nessuna notizia mostra avere di questo rinnovamento; egli è ancora colla scuola di Locke, il quale, se pure fu il fondatore del vero metodo psicologico, non si era veramente proposto di formare una psicologia, l'intento suo essendo principalmente gnoseologico.

- La dottrina psicologica del Testa, quale si raccoglie dal volume che serve d'introduzione alla Filosofia dell' affetto, può essere così compendiata : Nell' uomo avvengono due specie di fatti diversissimi; gli uni lo riguardano come essere percipiente, gli altri come affettivo; i primi sono oggetto dell'Ideologia e furono già largamente studiati da Locke, Condillac e Destutt, che ruppero e annichilirono l'antico fantasma di putride astrattezze »; i secondi, la cui trattazione costituisce la Scienza dell' affetto, non incontrarono uguale la sorte. Il libro del Testa è inteso a togliere questa lacuna lasciata dalla scuola lockiana. Gli stati affettivi sono sensazioni o sentimenti. Sensazione è quel modo piacevole o doloroso, che si trae dalle fisiche impressioni interne od esterne; sentimento o affezione morale è quel piacere o dolore che seguita le percezioni di certe relazioni tra le idee. Sebbene sulle cagioni che determinano il nascere degli stati affettivi dai percettivi, ci sia buio pesto, tuttavia si deve pensare che e le sensazioni e i sentimenti sono dipendenze della nostra organizzazione, che viene eccitata o da uno stimolo esterno, o da un'azione che parte dalla sede stessa del pensiero. Ovunque ci rivolgiamo (sono sue parole), qual pur si pensi altissima maniera del nostro sentire, nella fisica condizione si faranno pur sempre i nostri pensieri, perocchè

a questa ci conducono i fatti nostri. L'immaginazione, l'attenzione e le altre facoltà che si vollero attribuire all' anima, si possono derivare dal sistema nervoso. È dalla fisiologia che dobbiamo aspettarci, se pure mai sorgerà, di vedere nascere quella luce, che scaccerà le tenebre, le quali tuttora ricoprono il nostro sentire. Sì, a' Fisiologi si appartiene il discoprire le numerose relazioni della macchina nostra col nostro sentire; ed essi, poichè avranno dischiuso questo vero, ed allargati i confini della scienza della vita, s' uniranno, quando che sia, coi veri grammatici filosofi, onde stabilire o creare i segni acconci a rendere immagine de'nuovi concetti, dei quali i progressi de' loro studii avranno arricchito il nostro vero sapere. Sarà questa l'epoca avventurosa, in cui l'Ideologia, la Scienza dell' umano affetto, e la Fisiologia si congiungeranno inseparabilmente, sì che l'una parte l'altra rischiarando, bella evidenza acquisterà il tutto, e il nostro pensare accosterassi al vero. È la nostra ignoranza che moltiplica le scienze, rompendo l'unità della Natura. - La critica del sensismo non è più da fare, tuttavia voglio qui notare alcune cose.

Il Testa cade nell' errore, già dichiarato, di non considerare i fatti del volere come distinti da quelli del sentimento; eppure egli stesso più innanzi move savie obbiezioni a Locke, a Condillac e a Destutt, perchè, non considerando il desiderio come un modo posteriore al sentimento, non hanno separato queste due specie di fenomeni.

Erra ancora confondendo, come fa il Galluppi, sensazione con sentimento, perchè quella è sempre un fenomeno rappresentativo, e si riferisce ad un oggetto che sta fuori di noi; questo si riferisce a noi, ossia a un nostro modo di essere rispetto ad una data percezione, sia essa sensibile, sia intellettuale. Spetta a Kant il merito di avere posto in luce questa separazione.

Noi ci uniamo al Testa nel fare voti che sempre maggiori diventino. gli aiuti che la fisiologia porge alla psicologia; però non ammettiamo che di esse si possa formare una scienza unica; imperocchè la fisiologia studia · fatti materiali, e suo mezzo è l'osservazione esterna; la psicologia studia i fenomeni psichici, i quali possono essere rivelati solo dalla coscienza. Avendo esse metodi e strumenti diversi per adempiere al loro ufficio, pel progresso del sapere umano, debbono essere distinte, giacchè l'esame della coscienza richiede un esercizio e un' attitudine particolare che non può sempre possedere lo sperimentatore. Il Testa non esclude l'anima dall' uomo, ma non chiarisce quali siano le sue funzioni, perchè ammette fenomeni interni dipendenti puramente dagli elementi materiali del corpo, senza chiedersi come questi possano imprimere ai fatti psichici quel carattere d'unità che costantemente ci è rivelato dalla coscienza.

4. I due volumi del Testa sull' affetto, dei quali il primo tratta delle affezioni di tendenza, il secondo di quelle di avversione, sono divisi in trentasette capitoli, ai quali va aggiunta una breve conclusione. Ogni capitolo

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s' intitola da un sentimento particolare; così il primo dalla speranza, il secondo dalla curiosità, il terzo dall' incostanza, il quarto dall' amore propriamente detto, e così via fino all' ultimo, che tratta della coscienza e del rimorso; ma invano vi cercheresti una enumerazione completa e metodica di tutti gli affetti. Incomincia col precisare di ognuno la vera natura; indi passa a indagare la ragione del suo prodursi, crescere, indebolirsi e scomparire, tutto riducendo a un solo principio, l'egoismo; e da questa psicologia morale altro non si può dedurre che l'utilitarismo più gretto, più misero, più basso. L'uomo non disubbidisce mai alla legge che il vincola a quanto più pensa conveniente al bene suo, anche quando combatte le passioni; unico fine del suo operare è fuggire il dolore; non sente mai che i suoi mali, i quali sono assolutamente nulli quando non sono suoi; il bello, il verò, l'onesto, il giusto sono tante maniere d'utilità. Queste o simili sono le sentenze che si leggono ad ogni passo nella Filosofia dell'affetto. Parrebbe la legge darviniana della lotta per l'esistenza, trasportata dal campo della biologia in quello della morale. Ma per dare un' idea più esatta e precisa del primo indirizzo filosofico del Testa, vediamo com' egli cerca di spiegare alcuni di quegli stessi sentimenti che maggiormente nobilitano la natura umana: incominciamo dal sentimento del bello. Questo nasce dal piacere o presente o avvenire; fuori di questa non avvi alcuna cagione che produca il sentimento estetico. La percezione pura e semplice di un oggetto, non può darci la bellezza, se non vi è l'associazione del piacere o la previsione del godimento. Egli non si dà pensiero di confutare l'opinione di coloro che fanno precedere il giudizio estetico all' emozione; nè tanto meno le ragioni di quelli che considerano il bello come un qualche cosa che esiste in sè assolutamente. Nel cercare poi in qual modo e da quali facoltà esso venga abbracciato, tutto fa derivare dai sensi e dall' immaginazione, la quale per lui non è altro che la memoria stessa. Il bello adunque, secondo il nostro autore, non ha alcuna realtà obbiettiva; esso in niun luogo esiste fuorchè nell' umano cervello. Ma non sì però che mentale costituzione o naturale disposizione dei sensi ne improntino le forme; chè, per lo contrario, niun giudizio è più diverso, anzi opposto, niun sentimento individuale, quanto il sentimento del bello". I giudizi estetici puri, e quindi universali e necessarii, riconosciuti da Kant, sarebbero per lui vane sottigliezze e immaginarie astrattezze ben lungi dal vero.

Quali regole potrebbero mai le arti attingere ad una dottrina intorno al bello, che tutto deriva dal senso? Io credo che il Testa non sospettasse l'esistenza di una scienza chiamata Estetica. Questa però al suo tempo aveva già assunto il carattere e il procedimento di vera scienza presso i Tedeschi. Il Baumgarten, seguace di Wolff, aveva designato col nome di Estetica e tratto separatamente quella parte della filosofia che versa intorno al bello; appresso erano state pubblicate le importanti opere: Storia dell'arte presso gli antichi del Vinkelmann e il Laocoonte del Lessing; alle quali aveva

tenuto dietro la Critica del giudizio di Kant. Con essa l'autore aveva portato l'impronta del suo genio originale anche in questa parte importantissima della filosofia, riunendo insieme e conciliando in una sintesi superiore i due indirizzi opposti dell' idealismo e dell' empirismo. Ma gli Italiani al tempo in cui il filosofo di Piacenza componeva la Filosofia dell'affetto, ignoravamo lo splendore della coltura germanica; quindi non è a maravigliarsi che il Testa sia affatto digiuno di ogni teoria Estetica, chè tale veramente io chiamo chi spiega i sentimenti estetici col mero senso.

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Egli, come nega l'ideale del bello, così dichiara che l'attività intellettuale che muove alla ricerca del vero, ha sempre per suo ultimo scopo l'utilità. L'amore della scienza che spinge l'uomo a sopportare veglie e gravi fatiche, non è mai disinteressato; e le speculazioni in sè non danno alcun diletto, se non usciamo in certo qual modo da esse e non pensiamo al bene che ce ne può venire; il vero non si distingue dall'utile.

Se egli avesse posto mente al carattere di insaziabilità che presenta il desiderio di sapere presso i popoli civili e negli individui, le cui facoltà intellettuali sono svolte, avrebbe ammesso che nella verità stessa l'uomo riconosce spesso il fine del lavoro del suo pensiero e la meta delle sue meditazioni. L'opinione qui esposta dal Testa è tanto più strana in quanto che egli passò tutta la vita speculando e meditando, non d'altro curandosi che di giungere al vero. Di lui si potrebbe affermare il medesimo che di Helvetius, il quale volle spiegare coll'egoismo tutte le azioni umane, e impiegò tutta la sua vita a beneficare e soccorrere. Disastrose sarebbero le conseguenze che verrebbero nella vita pratica, se si accettasse la spiegazione che il nostro dà dei sentimenti più vivi e più necessarî alla convivenza e al perfezionamento degli uomini.

Shakspeare chiama l'amore una libidine del sangue, e il Testa pure rifiuta a questo sentimento qualsiasi nota di spiritualità; deride con pariniana ironia gli amatori platonici, i quali possono trovarsi in un cattivo romanzo, non mai nella storia; e adduce un passo del Purgatorio (XXXI, 49-51) e la canzone Io miro, per mostrare che l'amore di Dante per Beatrice era tutt'altro che celestiale. Il pudore poi è un'arte della donna per piacere all'uomo, il quale, per l'immaginazione, maggiormente si delizia del frutto proibito.

Nel determinare la natura dell'amicizia non si scosta guari da Aristotele, riponendone anch'egli l'essenza nella benevolenza scambiata, ma tace il un davoárovcar dello Stagirita; mentre però, secondo Aristotele, nessuno accetterebbe la vita priva del conforto dell'amicizia; secondo il Testa, questa nasce puramente dal bisogno; è la natura che, creando l'uomo scarso alle sue necessità, lo trae ad amare. L'amore dunque è il primo naturale impulso; il bellum omnium contra omnes di Hobbes è contrario alla natura dell'uomo, che, conscio fin da principio della propria debolezza, è mosso a cercare l'altrui aiuto coll'amare, non col guerreggiare, laddove Rousseau, nel suo Èmile.

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dalla debolezza trae ogni malvagità. Il patriottismo, questo sentimento tanto decantato dagli uomini, è una forma dell'amor proprio; leggete le sue parole: E forse che, cercando attentamente nelle storie, questo stesso patriottismo ci si mostrerà non essere altro che il desiderio del proprio benessere, o un senso di comune timore? E d'un medesimo modo egli spiega la gratitudine, il desiderio della stima, della gloria, la coscienza morale, il rimorso, ecc. Se qualche volta l'uomo nutre sentimenti contrarî al suo interesse, avviene perchè con giudizi falsi, si crea bisogni immaginarî; altrimenti tali sentimenti non sarebbero spiegabili più di quello che sia un effetto senza causa. L'uomo ama se stesso più di ogni altra persona; i sentimenti disinteressati sono inconcepibili: ecco l'eterna ripetizione del Testa. Davide Hume, che aveva trasferito il giudizio sulla moralità di un'azione dall'agente allo spettatore, mediante una sottile analisi induttiva, viene a trovare che costui è mosso ad approvare un'azione che per nulla lo riguarda, per la simpatia, in forza della quale un uomo si mette, aiutato dall'immaginazione, al posto del suo simile a cui vantaggio ridonda l'azione stessa; ma il Testa non ammette neppure il sentimento spontaneo della simpatia; gli sarebbe parso un grano d'incenso bruciato alla vanità del genere umano. Egli è pessimista nel più largo senso della parola; come Abubacer, come Rousseau, lamenta i danni del vivere socievole; quella origine elevata, quelle forme sublimi, quell'aria nobile che noi diamo ai nostri sentimenti, nascono da folta nebbia che vanità e orgoglio addensano intorno a noi, in guisa che ci è tolto di vederci quali siamo. Io non credo che il filosofo piacentino sentisse di avere quelle qualità ch'egli attribuisce all'uomo in genere. Non è raro il caso che si trovi un sì basso concetto dell'umana natura in chi, vagheggiando un tipo ideale di perfezione, trova la realtà in generale troppo scostarsi da esso. Basti l'esempio di Kant e di Leopardi, che sotto questo rispetto si trovano perfettamente d'accordo. Ma il Testa oltrepassa i limiti coll'affermare recisamente che nessuna educazione, istituzione o civiltà possa svellere dall'uomo l'amore di sè, che ne costituisce la vera natura; della quale è impossibile cambiare la primordiale e sola sorgente.

- Non credasi per questo che, secondo il giudizio di lui, riesca impossibile la pacifica convivenza; anzi il principio dell'egoismo può servire di fondamento alla morale. A tal uopo è necessario che gli uomini siano istruiti, poichè è dall'ignoranza che nasce la collisione degli interessi, gli odî, le inimicizie, i tormenti della vita. L'uomo rettamente educato si persuaderà che, pure non rinunciando all'amore di se stesso, dovrà però dargli una certa misura e mantenerlo nei limiti dell'ordine; questo è l'interesse supremo dell'egoismo. L'economia dell'affetto, ecco il cardine della moralità.

Un tale fondamento della condotta umana, privo di ogni carattere obbligatorio e di ogni idealità, sarebbe la distruzione della morale. L'utilitarismo stretto, come è voluto dal Testa, immiserisce i cuori, travia le menti,

RENDICONTI. 1886, VOL. II, 2o Sem.

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