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Patologia.

Ricerche sulla natura della malaria, eseguite dal dott. Bernardo Schiavuzzi in Pola (Istria). Nota del Socio C. TOMMASICRUDELI.

Nella seduta del 4 aprile 1886 (1) ebbi l'onore di illustrare alcuni preparati del dott. Schiavuzzi, contenenti le culture pure di un bacillo da lui rinvenuto nelle atmosfere malariche dei dintorni di Pola. L'esame di essi faceva riconoscere una perfetta identità morfologica del bacillo trovato dal dott. Schiavuzzi, e dello schizomicete pel quale Klebs ed io abbiamo proposto nel 1879 l'appellativo di Bacillus malariae. Vi diceva però, come questa identità di forme non bastasse da sola ad assicurarci che quel bacillo fosse il fermento della malaria, e come fosse necessario saggiarne l'azione patogenica, prima di pronunziarsi sulla sua natura. In attesa degli sperimenti sugli animali, che il dott. Schiavuzzi si proponeva di fare per mezzo delle sue purissime culture, depositai intanto presso l'Accademia i preparati microscopici da lui inviatimi in dono, onde potessero servire più tardi come termine di paragone.

Vengo oggi a farvi un riassunto dei nuovi risultati ottenuti dal dott. Schiavuzzi, illustrandoli con alcuni bei preparati, dei quali egli fa omaggio all'Accademia.

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Adoperando l'apparecchio di Koch per le investigazioni microfitiche dell'aria, od invece facendo semplicemente passare l'aria attraverso una provetta contenente cinque centimetri cubici di gelatina sterilizzata, l'autore si è potuto assicurare della presenza costante di questo bacillo nell'atmosfera di tutte le località malariche da lui esplorate; mentre non l'ha mai trovato nell'atmosfera delle località salubri. Non l'ha mai trovato nelle acque del territorio di Pola, salvo in quelle dei fossi di scolo di due località notoriamente infette da malaria. Questo schizomicete è aerobio, e si sviluppa alla superficie delle gelatine di cultura, in forma di placche bianche, poco fluidificanti, e talvolta assai resistenti, come potete vedere in questa provetta, dove

(1) Rendiconti della R. Accademia dei Lincei. Volume II, 1o sem., pag. 223. 1886.

esso è stato fatto sviluppare nella gelatina di Agar-agar. L'autore ha inviato, insieme a questa, un'altra provetta contenente gelatina di colla di pesce sterilizzata, dove egli ha innestata una cultura pura del bacillo in discorso; onde lo si possa far sviluppare a volontà, mantenendolo per 24 ore alla temperatura di 35°C. Nei preparati microscopici n. I e n. II, potrete verificare la squisita purezza di tali culture. In essi vedrete esclusivamente le forme bacillari date da Klebs e da me come caratteristiche del fermento malarico (1), rese molto evidenti da una colorazione con fucsina.

Inoculando queste culture pure a dei conigli albini, il dott. Schiavuzzi ha potuto procurar loro delle febbri intermittenti a tipo terzanario e quotidiano, come lo mostrano le curve delle temperature da lui tracciate in due tabelle. Nessuna di questo febbri ebbe carattere pernicioso. Ma, ciò nonostante, esse produssero un'aumento del volume della milza, e la formazione del pigmento nero, caratteristico delle infezioni malariche, che poi si trovò nella milza (preparato n. III) ed anche nelle glandule linfatiche addominali (preparato n. IV). Di più, nei globuli rossi del sangue, specialmente in uno dei conigli infetti, furono riscontrate alcune delle principali alterazioni che adesso, dopo i lavori di Marchiafava e Celli, sono considerate come un segno patognomonico della infezione malarica. I disegni del dott. Schiavuzzi non lasciano alcun dubbio in proposito: le figure da lui inviate rispondono esattamente a quelle date da Marchiafava e Celli nel loro ultimo lavoro (2), e più specialmente alla fig. 28, nella quale la massa ialina formatasi entro il protoplasma dei globuli rossi sta per uscirne.

Nel sangue degli animali di prova, nella polpa splenica di essi, ed anco nelle glandule linfatiche addominali, il dott. Schiavuzzi trovò dei numerosi corpicciuoli rotondi, a contorno oscuro, che egli suppose essere le spore del bacillo col quale aveva procurata la infezione malarica. Per assicurarsene, praticò una serie di culture, le quali hanno condotto a risultati importanti e decisivi. Dal sangue, abbandonato a sè stesso entro una camera microscopica d'aria sterilizzata ermeticamente chiusa, come pure dai pezzetti di milza o di glandule linfatiche addominali, posti entro provette contenenti gelatine sterilizzate a 150°C., si ottennero sempre delle vegetazioni di un bacillo identico a quello col quale la infezione era stata procurata. I preparati n. V, VI e VII ve lo dimostrano. La vegetazione bacillare fu dappertutto la medesima, in qualità: ed il paragone fra i bacilli sviluppati in questi tre preparati, ed i bacilli raccolti nelle atmosfere malariche (preparati n. I e II) pone fuor di dubbio la loro perfetta identità morfologica. Vedrete inoltre, che la colorazione per mezzo della fucsina, è riuscita ugualmente bene negli uni

(1) Studi sulla natura della malaria. Tavola II, fig. 2 e 3. Atti dei Lincei. Memorie della Classe di scienze fisiche ecc. Serie 3a, volume IV. Roma, 1879.

(2) Studi ulteriori sulla infezione malarica. Archivio per le scienze mediche. Torino, 1885; e Annali d'agricoltura, 105. Roma, 1886.

e negli altri. Ma la quantità della vegetazione bacillare non è dappertutto la stessa. Essa fu sempre scarsa nelle culture delle glandule linfatiche (preparato n. V), abbondante nelle culture del sangue (preparato n. VI), abbondantissima in quelle della milza (preparato n. VII).

In conclusione, il dott. Schiavuzzi sarebbe giunto a provare:

- 1o La presenza costante di un bacillo, morfologicamente identico a quello descritto da Klebs e da me col nome di Bacillus malariae, nelle atmosfere malariche di Pola, e la sua assenza relle atmosfere di località non malariche;

2o Che le culture pure di questo bacillo, inoculate ai conigli, provocano febbri le quali hanno tutte le caratteristiche (anatomiche e cliniche) delle febbri di malaria;

3o Che mettendo il sangue, la milza e le glandule linfatiche addominali dei conigli febbricitanti, in condizioni favorevoli allo sviluppo di questo schizomicete, si produce una vegetazione più o meno abbondante, ed in alcuni casi abbondantissima, di un bacillo morfologicamente identico a quello che servì a procurare la infezione;

4° Che negli animali infettati mediante culture purissime di questo bacillo, i globuli rossi del sangue subiscono quelle alterazioni, che Marchiafava e Celli hanno descritto come caratteristiche della infezione malarica. Fatto il quale viene a conferma di quanto ebbi a dire nella ultima mia comunicazione all'Accademia (1), cioè: che tali alterazioni dei globuli rossi non sono dovute allo sviluppo entro i medesimi di un parasita animale (che nessuno ha trovato sin qui, nè nell'aria, nè nelle terre malariche); ma sono invece l'effetto di una degenerazione dei globuli rossi, dovuta, direttamente od indirettamente, all'azione di un fermento morbigeno di tutt'altra natura. Questo insieme di fatti ha indotto il dott. Schiavuzzi a ritenere che il Bacillus malariae, descritto da Klebs e da me nel 1879, sia veramente la causa della malaria. Egli si propone di esporre ampiamente le sue ricerche in una prossima pubblicazione, ed annunzia fin da ora per mezzo mio all'Accademia, che egli ha raccolto dati sufficienti per affermare che la malaria di una località malarica aumenta, a misura che aumenta lo sviluppo di questo bacillo nella medesima".

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Mineralogia. Magnetite pseudomorfa di Ematite micacea dell'Ogliastra in Sardegna. Nota del Socio G. STRÜVER.

Fra i campioni di una collezione di minerali sardi che acquistai alcuni anni fa per farne dono al Museo Mineralogico della Università di Roma, mi colpì per il suo strano aspetto un esemplare che era classificato per

(1) Il Plasmodium malariae di Marchiafava, Celli, e Golgi. Rendiconti della R. Accademia dei Lincei. Volume II, 1o semestre, pag. 313. Seduta del 2 maggio 1886. RENDICONTI. 1886, VOL. II, 2o Sem.

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diallagio dell'Ogliastra in Sardegna. A prima vista sembra, in fatti, di aver da fare con un serpentino scuro a superficie di frattura appannate, entro il quale sono disseminate larghe lamelle di diallaggio o bronzite dotate di vivo splendore metalloide. Basta prendere il campione in mano e pesarlo per disilludersi immediatamente.

La parte principale del campione consta di un minerale a grossi grani irregolari del diametro di più centimetri, irregolarmente fra di loro associati e intrecciati in modo da costituire una solidissima massa. Ogni grano poi si divide con massima facilità secondo una sola direzione, diversa di grano in grano, in laminette sottilissime paragonabili a quelle della ematite micacea a struttura finamente laminare. Il minerale, sperimentato sui larghi e lucenti piani di separazione, ha la durezza 6, si riduce facilmente in polvere perfettamente nera e appannata, è fortemente attirato dalla calamita e difficilmente fusibile; la sua polvere ad elevata temperatura e a contatto dell'aria diventa rossa, e nell'acido cloridrico si scioglie facilmente, anche a freddo, dando una soluzione giallo-verdastra che poi a caldo o dietro aggiunta di un po' di acido nitrico diventa gialla, lasciando un piccolo residuo di silice gelatinosa; insomma il minerale non è che ossido di ferro magnetico, contenente un po' di silice, come da tempo si sa per la magnetite dell'Ogliastra.

Nella massa di questo ferro magnetico laminare sono disseminati numerosi cristallini ottaedrici di magnetite di qualche millimetro di diametro al massimo, granelli di calcopirite e masserelle di epidoto verde-giallognolo e di quarzo. La miscela poi è di aspetto tanto fresco, che non sembra aver subito alterazione chimica di sorta, ma essersi formata in origine quale la vediamo oggi.

Tentando di dare una spiegazione della associazione di magnetite genuina in ottaedri e di ferro magnetico, dirò, micaceo, si può senz'altro escludere che si tratti qui dell'ordinaria magnetite, lamellare secondo le faccie dell'ottaedro, parallelamente alle quali vi ha distinta sfaldatura, e ciò perchè non è possibile scoprire la ben menoma traccia di sfaldatura in altre direzioni fuori quell' unica in cui ogni grano si divide in lamine sottilissime. Nè si può guari pensare a pressioni che abbiano prodotto la struttura finamente lamellare, poichè la direzione delle lamelle varia di grano in grano. Analogamente a ciò che si fece altra volta per la ematite onde spiegare la forma monometrica della così detta martite, si potrebbe supporre un dimorfismo dell'ossido ferroso ferrico, l'esistenza cioè, oltre alla magnetite monometrica, di un ferro magnetico p. e. romboedrico, ma rimarrebbe certamente assai difficile lo spiegare, come le due varietà abbiano potuto formarsi assieme in condizioni che sembrano essere state identiche.

A mio avviso, non ci rimane che di ammettere un caso di pseudomorfismo. Di fatti, da parecchi autori (vedi J. Roth, Allgemeine und chemische Geologie, 1879, I, p. 97-98) furono descritti casi non dubbi di magnetite pseudomorfa di ematite, e da taluni, come da Breithaupt, Peters, Döll,

Zepharovich, esempi di magnetite pseudomorfa di ematite micacea. Questi ultimi esempi farebbero al caso nostro; però non dobbiamo dissimularci che, vista la freschezza del campione e sovrattutto della calcopirite in esso disseminata, come anche la non avvenuta idratazione del minerale di ferro, riesce difficile lo immaginare un processo chimico, ammissibile in natura, cui attribuire il cambiamento della ematite micacea in ferro magnetico. Solo un accurato esame sul posto potrebbe condurre ad una soluzione soddisfacente del problema, e se mi sono deciso a rendere di pubblica ragione queste mie poche osservazioni, si è per richiamare l'attenzione di chi si trova in grado di visitare e studiare con minore disagio i giacimenti ferriferi dell'Ogliastra. In ogni caso resta sorprendente il fatto, che il minerale cede anche a leggiera pressione riducendosi facilmente in polvere, mentre non si riesce ad intaccarlo con una lama di coltello sulle superficie di separazione ".

Astronomia.

Sui fenomeni della cromosfera solare osservati al R. Osservatorio del Collegio Romano nel 2o e 3o trimestre 1886. Nota del Socio P. TACCHINI.

Il numero dei giorni di osservazione fu di 62 così distribuiti : 11 in aprile, 15 in maggio e 26 in giugno. Ecco i risultati ottenuti nel 2o trimestre.

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. Il numero delle protuberanze idrogeniche trovasi dunque in diminuzione in confronto del trimestre precedente, e le massime altezze osservate mese per mese sono inferiori di molto a quelle registrate per il trimestre precedente medesimo. Non si ebbero in questo periodo fenomeni di eruzioni speciali meritevoli di essere qui ricordati. Nel complesso dunque alla diminuzione delle macchie solari corrispose pure una minore attività nei fenomeni cromosferici.

Nel 3o trimestre le giornate di osservazione furono 68, cioè 27 in luglio, 23 in agosto e 18 in settembre. Dal 1° al 21 luglio inclusivo le osservazioni furono eseguite da me, e nei rimanenti giorni del trimestre dai signori Millosevich, Chistoni e Palazzo; i risultati delle osservazioni sono i seguenti:

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