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e con funzioni distinte. Procedendo nello esame delle più note battaglie storiche egli mostra numerose conferme di queste e di molte altre particolarità di tutto quel sistema militare, nonchè la costante e rigorosa applicazione delle varie regole che costituirono questa tattica finora sconosciuta della età media. Così riesce anche a commentare tecnicamente alcune pagine di storia italiana, e in ispecie le due famose battaglie di Benevento e di Tagliacozzo trovano in quest'opera una illustrazione ammirabile.

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Dopo aver ricostruito e spiegato tutto il sistema, l'autore vien da ultimo a ricercarne la genesi e a determinare i principali momenti della sua evoluzione; e qui per noi è importante soprattutto il fatto che a fondamento della tattica medioevale si ritrovi la tradizione della tattica romana del IV secolo, quale fu tramandata da Vegezio. Il principio cardinale che destinava la cavalleria all'offensiva, alla difensiva la fanteria; il metodo di combattimento in ordine parallelo; il circolo, il cuneo, il quadrato e gli altri atteggiamenti delle milizie pedestri; le norme per l'equipaggiamento, per la scherma, per le armi da tiro, pei segni di comando e altri particolari della tecnologia militare, furono tutti appresi dal libro di Vegezio e derivati dalla tradizione romana. Questa tradizione, perfezionata col progredire dei tempi e delle armi, non snaturata dalle influenze orientali, passò al secolo del rinascimento; e quel secolo, conchiude l'autore, non ha diritto a tutto il vanto di aver creata l'arte militare. Il medioevo ebbe un' arte militare anch'esso, e ciò che di romano si ritrovò nella tattica del secolo XV, il medio evo l'aveva conservato ».

Archeologia.

Di una rarissima iscrizione del beneventano,

relativa al culto di Giunone. Nota del Socio F. BARNABEI.

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L'ispettore degli scavi cav. Ferdinando Colonna di Stigliano, essendosi recato in s. Nicola Manfredi, ad otto chilometri da Benevento, ebbe la fortuna di ritrovarvi alcuni titoli latini, di non comune importanza, che sfuggirono alle ricerche dei dotti, quando ultimamente furono fatti nuovi studi sul materiale epigrafico delle provincie meridionali.

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Questi titoli si trovano nel castello baronale, posseduto dalla famiglia Sozi-Carafa. Il primo è una pietra di travertino, alta m. 1,04, larga m. 0,51, per quanto attualmente si può vedere, essendo usata nel muro, come materiale di costruzione, presso il pavimento dell'atrio, ed ignorandosi quanta parte se ne celi sotterra. Riproduce con qualche variante l' epigrafe riportata nel vol. IX del C. I. L. sotto il n. 2116. Ma a volerne dare l'apografo esatto, convien verificare se altre linee della leggenda siano ancora nascoste. Nondimeno quello che per ora si può dire si è, che questo frammento appartenga ad un titolo dedicatorio di pubblico edificio.

. Il secondo è un cippo di travertino, alto m. 1,24, largo m. 0,51, profondo m. 0,55, nel quale si legge l'iscrizione posta ad una sacerdotessa di

RENDICONTI. 1886, VOL. II, 2o Sem.

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Giunone Regina, epigrafe varie volte edita, e finalmente riprodotta nel vol. IX del C. I. L. sotto il n. 2111. Dallo esame del calco trasmesso rimane ancora il dubbio se pel nome della madre, che pose il titolo, debba accettarsi la lezione data; ma a ben decidere intorno a ciò, sarà necessario aspettare una nuova impronta cartacea, che esattamente riproduca la parte ultima della leggenda. Il terzo titolo è quello che merita principale riguardo. È un cippo di travertino, alto m. 0,85, largo m. 0,39, profondo m. 0,44, messo ora capovolto. Vi restano solo i primi due versi di un'epigrafe, che era composta di sei linee, chiarissimi essendo i segni dello scalpello, con cui i quattro versi inferiori furono cancellati in antico. Questi due primi versi, come vien comprovato dal calco cartaceo, dicono:

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IVNO NI
VERIDICA

È chiaro esser questa l'iscrizione che il ch. Mommsen riprodusse nel n. 1384 delle napoletane, sull'apografo del De Vita (Thes. Ant. Ben. Romae 1754, p. 67), e che poi ripudiò nel vol. IX del C. I. L. (n. 2110), accettando la lezione IVNONI REGINAE (cfr. Garrucci Diss. Arch. p. 114), secondo l'altro apografo del titolo che il De Vita per errore avrebbe attribuito a Benevento, e che fu edito nel n. 1382 delle napoletane predette.

. È chiaro parimenti, dall'esame del calco, non doversi più accogliere i dubbi manifestati dai dotti sulla genuinità di questa iscrizione, che da alcuni fu ritenuta assolutamente falsa (Orelli-Henzen 1311).

Resta a vedere se sotto i colpi dello scalpello, nelle linee inferiori, sieno rimaste alcune traccie di lettere, che ne mettano in grado di fare qualche studio non inutile per reintegrare il resto del titolo; intorno al quale argomento nulla si può dire col semplice sussidio del calco mandato, in cui solo i primi due versi, che furono rispettati in antico, sono riprodotti.

Tuttavolta bastano questi due versi a far dichiarare il titolo di straordinaria importanza, essendo il solo finora conosciuto in cui la Regina degli Dei sia onorata con l'appellativo di Veridica; il che quanto pregio abbia per lo studio della mitologia, può essere indicato colle semplici osservazioni seguenti Il Preller (ed. Jordan I, p. 283) aveva accennato in una nota, alla probabilità di un rapporto che corresse tra la Juno Veridica, conosciuta per mezzo di questa lapide, e la Juno Moneta. Ma questo solo accenno veniva a perdere ogni valore, una volta che la sentenza degli uomini più autorevoli portava a togliere qualunque autenticità all'epigrafe del beneventano, nella quale soltanto l'ipotesi del Preller aveva fondamento.

Restituita ora la sua dignità a quella epigrafe, non sembra inopportuno il fermarsi un poco ad esaminare il concetto del Preller, esponendo alcune ragioni, per le quali il concetto medesimo non abbia solamente il carattere della probabilità, ma acquisti tutta la forza della certezza.

Il culto di Giunone Moneta richiama subito alla mente il tempio innalzato sul Campidoglio alla Regina dei numi l'anno di Roma 410, 344 av. Cristo, per voto fatto dal dittatore L. Furio, in una battaglia contro gli Aurunci (Liv. IV, 7, 20; VI, 20; VII, 28; XLII, 1; Ovid. Fast. 1, 368; VI, 183).

Che a questo tempio, in cui era la zecca, e quindi al relativo culto della dea, non venisse il nome dal denaro, risulta evidentemente da ciò, che il nome ed il tempio esistevano molto prima che quivi la zecca fosse istituita (Becker, Topographie der Stadt Rom; Handbuch I, p. 409), ammettendo ora i più autorevoli che l'officina monetaria fu fondata in questo sacro edificio l'anno 485 della città, 269 avanti l'era volgare, ossia 75 anni dopo che il tempio sarebbe stato costruito (Mommsen, Röm. Münzw. p. 301).

- Del resto che il nome di Moneta non venisse al tempio ed alla divinità dalla zecca e quindi dal denaro, e che per contrario prendesse la zecca questo nome appunto perchè istituita in quel tempio, verrebbe anche provato da altro tempio innalzato a Giunone Moneta sul monte Albano (Liv. XIV, 15; cfr. Preller, 1. c.), in cui nessuno potrebbe supporre che avesse avuto sede un' officina monetaria.

. Nè occorre insistere sopra altre ragioni che valgano a dimostrare l'errore di quelli, che si ostinassero a ritenere il contrario; affermando che il cercare altra spiegazione corrisponde a voler trovare nel nome moneta un senso diverso da quello che realmente aveva (Smith, Dict. of. Gr. and Rom. Biograph. and Myth. ad v. Iuno). Perocchè è appunto l'esame del significato vero di questa parola che impone cercare una spiegazione diversa.

Il rapporto intimo che corre tra moneo e moneta appare evidente; e quantunque un nomen agentis in e-ta accenni piuttosto a grecismo che a voce indigena, pure sembra innegabile che il nome mon-e-ta corrisponda perfettamente a mon-i-tor, nel primitivo senso della parola, indicando la persona che avverte e dà consigli. Per la qual cosa Iuno Moneta non altro significa che Giunone consigliera (Ratherin, come giustamente scrisse il Mommsen nell'opera sopra citata alla p. 301, traducendo il cußovlov di Suida, ad v. Morira), vale a dire la divinità, a cui nei momenti difficili si può ricorrere, per conoscere la via che ne faccia uscire dai mali.

- Che la cosa sia in tal modo viene confermato dalle leggende APOL· MONET (Cohen. III p. 34 n. 7), ed APOL · MONETAE (ib. p. 126, n. 459) poste nel rovescio dei denari di Commodo, battuti l'anno 190 dell'era volgare; ossia l'anno seguente a quello in cui Roma era stata oppressa da così grave pestilenza, che mai simile si ricordava, come dice Dione (1. 72, 14); durante

la quale tutto porta a credere che non fosse stato trascurato il culto del Dio della salute, a cui in simili avversità pubbliche non inutilmente si ricorreva, ottenendone responsi di oracolo, che giovassero a calmare lo sdegno dei numi.

Nè si comprende come mai queste leggende dei denari di Commodo, che ho riferite, paressero inesplicabili alla sagacia del dottissimo Eckhel (Doct. num. vet. II 7, p. 122); perocchè, anche a non voler tener conto della coincidenza della peste raccontata da Dione, e delle spiegazioni date dal Vaillant (Numismat. imp. rom. praest. II p. 182), dovrà sempre riconoscersi nell'epiteto Moneta la qualità fatidica del nume degli oracoli, che avvertiva gli uomini intorno al volere di suo padre, o del sommo degli Dei. - Che questa qualità medesima di avvertire (monere) quello che convenisse di fare, fosse attribuita presso i romani anche a Giunone, donde il culto di Iuno Moneta, risulta dalla testimonianza di Cicerone (De Div. I, 45; II, 32), secondo cui in un terremoto sarebbe uscita fuori dal tempio di Giunone sul Campidoglio una voce, che avvertì (monens) quale sacrifizio bisognava di fare. E risulta parimenti dal passo di Suida, che si crede tratto da Svetonio (Mommsen, Rom. Münzw. p. 301, nota 36), passo in cui si racconta che avendo i romani difetto di denaro nella guerra contro Pirro ed i Tarantini, si rivolsero a Giunone, che li avvertì per mezzo di oracolo, che se avessero usato le armi con giustizia, il danaro non sarebbe ad essi mancato. Per la qual cosa, avendo i romani riconosciuto che la dea aveva avvisato il vero, onorarono Giunone Moneta, cioè consigliera.

Se adunque in tale appellazione di Moneta è incluso il concetto non solo di chi avverte, ma di chi avverte il vero, forza è concludere che l'equivalente dell'appellazione stessa sia da riconoscere nell'epiteto di VERIDICA, con cui nella nostra lapide la Regina degli Dei fu invocata.

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Quello in cui il Preller avrebbe errato, si è nello ammettere con troppa sicurezza che da questa lapide si potesse dedurre una nuova prova della ripetizione delle cose di Roma nella colonia latina di Benevento. Si sapeva che dalla madre patria erano derivate una Regio Exquilina (C. I. L. IX, n. 1569) ed una Regio Viae Novae (ib. n. 1596). Inoltre si sapeva per testimonianza di Svetonio (de illustr. gram. c. 9) che vi era un Capitolium, sul quale i beneventani innalzarono una statua al loro concittadino Orbilio Popilio, che fu il maestro plagosus ricordato da Orazio (Ep. II, 1, 71). Ma documenti per ammettere, come il Preller pare abbia supposto (I p. 283, nota 3), essere stati eretti in questo Capitolium i templi di Giove Ottimo Massimo e di Giunone Moneta come in Roma, non pare si possano avere nei titoli conosciuti, e specialmente in quello di cui ci occupiamo (').

Al più possiamo essere condotti ad ammettere essere stati in Benevento un tempio a Giove (IOVI/TVTATORI/MARIS, C. I. L. IX, n. 1549) () Intorno al Capitolium di Benevento cfr. Kuhfeldt, De Capitolis imperii romani Berolini, Weidmann 1883, p. 25.

ed un altro a Giunone Quirite (ib. 1547). Ma niente più di questo possiamo sapere dai titoli; i quali in nessun modo autorizzano a supporre che questi templi fossero stati eretti in Capitolio.

E dato pure che vi sia stato in Benevento un tempio a Giunone Quirite, non ne deriva da ciò che vi fosse stato un tempio anche a Giunone Veridica o Moneta; perocchè se si può esser certi che il documento relativo al culto di Giunone Quirite sia da attribuire alla città di Benevento, niente autorizza a credere che alla città stessa sieno da attribuire le lapidi di s. Nicola Manfredi, il titolo cioè di una sacerdotessa di Giunone Regina, che ho ricordato in principio, riprodotto nel n. 2111 del vol. IX del C. I. L., e l'altro a Giunone Veridica, del quale specialmente tratta questa nota. Che anzi, fino a quando non si trovino documenti certi, che dimostrino questi titoli essere stati trasportati in s. Nicola Manfredi dalla città di Benevento (il che sembra quasi impossibile, non essendo tali che sarebbero stati scelti per l'abbellimento artistico dell'edificio; essendo ben forte la distanza di otto chilometri quanti ne corrono da Benevento; ed essendo le pietre di non facile trasporto per la loro grandezza, che non presenta nulla di artistico; finalmente trovandosi una di esse adoperata come semplice materiale di costruzione in un vecchio muro del castello), dovrà ritenersi che le nostre iscrizioni appartengano al territorio anzi al paese stesso di s. Nicola, dove altre antichità si rinvennero (1), che fanno fede esser quivi sorto un centro abitato, compreso nella pertica beneventana, e con un tempio sacro a Giunone Regina, invocata anche coll' appellativo di Veridica, come la nostra lapide ci dimostra (2) »

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MEMORIE

DA SOTTOPORSI AL GIUDIZIO DI COMMISSIONI

R. NASINI. Sulla rifrazione molecolare delle sostanze organiche dotate di forte potere dispersivo. Presentata dal Socio BLASERNA.

PRESENTAZIONE DI LIBRI

Il Segretario CARUTTI presenta le pubblicazioni pervenute all' Accademia, segnalando fra esse l'opuscolo del Socio P. E. LEVASSEUR: Discours

(1) Il cav. Colonna accennò anche a mattoni con bollo CART.

(2) Forse al detto tempio appartenne il titolo, di cui esiste il frammento nel muro dell' atrio, riprodotto nel n. 2116 del C. I. L. vol. IX. Il ch. Garrucci credè che questo tempio a Giunone forse stato eretto più vicino a Benevento, presso Pastene, senza addurre le ragioni di tale sentenza, che pare non si possa accettare, essendo state le epigrafi ritrovate a considerevole distanza da questo sito.

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