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No, la prova delle regole l'abbiamo fatta, e ha fallito. Colle regole aristoteliche si può dimostrare che l'Italia liberata dai Goti del Trissino, val più che la Divina Commedia o l'Orlando Furioso; ma quello che il Mariotti chiama capriccio (e si chiami gusto o senso artistico o come si voglia), si ride delle regole e tira avanti. Se la statistica, colle leggi delle proporzioni e simili, volesse provarci lo stesso assunto, quel capriccio riderebbe ancora e tirerebbe avanti. Esso è giudice supremo e inappellabile; ed è talmente complesso, è un composto di tanti e così vari elementi, che sfugge ad ogni analisi chimica, è ribelle al peso ed alla misura. La critica si dà aria di signora e padrona, ma non è altro che sua fantesca. Se la statistica vorrà prestarle mano, sarà ben accolta; ma che non presuma di sostituirsi mai a quel così detto capriccio << nel giudicare il merito degli scritti. >

Il Mariotti desidererebbe si facesse un libro, Le concordanze dantesche, a imitazione di quelli fatti sullo Shakespeare e sulla Bibbia latina. Un tal libro non c'è, nè in verità m'affligge molto questo difetto; ma, oltre al Vocabolario dantesco del Blanc, potrebbe in parte supplire alla mancanza il Vocabolario Enciclopedico-Dantesco compilato da E. conte Gaddi Hercolani. Dico potrebbe, poichè finora, ch'io sappia, non se n'è pubblicato che un fascicolo di saggio, ignoto forse al Mariotti. In fine c'è anche un po' di statistica delle voci e frasi italiane e straniere. Il libro del Mariotti si chiude con una raccolta di versi della Divina Commedia, messi in musica da celebrati maestri.

Qua e là nel volumetto ci sono affermazioni che mi paiono assai dubbie; per esempio questa: « La perfezione dell'armonia dei versi e della prosa in ogni scrittore è in proporzione del suo gusto nella musica. » Nulla di più semplice e naturale giudicando a priori, ma il fatto non mi pare che corrisponda. Ho più volte notato che i più valenti maestri di musica e quelli che han più fine orecchio a gustarla, difficilmente ripetono due versi senza sbagliarne la misura; e ugualmente ho notato che quelli che pel verso han l'orecchio più fine, difficilmente mettono insieme due note senza stonare orribilmente. Può essere che io abbia avuto disgrazia in questa osservazione; ma vedo pure che dagli scritti de' maggiori poeti, quantunque esaltino in modo generale la potenza della musica, difficilmente, eccetto Dante, se ne potrebbe trarre argomento d'intelligenza e di gusto musicale. Un'altra affermazione assai dubbia mi par questa: << Gli animi veramente eccelsi sono talora superbi, come Dante, ma non invidiosi. » Io ne dubito. Certo non erano invidiosi, per esempio, Canova e Manzoni; ma convien anche dire che ci voleva poco a non esserlo quando avevano conseguito tanta gloria da non vedere la possibilità d'un rivale. Consento che i Grandi difficilmente appaiono invidiosi; ma resterebbe a vedere se ciò dipenda da una qualità lor propria, o non piuttosto dal non

saper chi invidiare. Così pure troverei a ridire sull'opinione del Mariotti, che ad insegnare ai giovanetti le lingue vorrebbe non si usassero le antologie, ma si facesse imparare a mente anche un autore solo dei principali. Lasciando da parte ogni altro argomento, vorrei fargli osservare che mobilissima è l'immaginazione de' giovanetti; e la pratica della scuola dimostra che il tenerli a lungo sopra un libro, sia pure la Divina Commedia o l'Orlando, equivale a far loro contrarre contro quel libro un odio mortale.

Intanto questo libro fa pensare, e non è poco. È, secondo me, l`esagerazione d'un principio ragionevole; esagerazione che porterebbe i letterati a divenir cabalisti. Sull'utilità di certe statistiche può essere che il tempo dia ragione a lui; per ora mi pare che il Mariotti farebbe meglio ad applicare il suo ingegno a cose più utili.

D. GNOLI.

RASSEGNA MUSICALE.

Il Rienzi di Wagner al Politeama Romano.

I Capuleti e i Montecchi di Bellini all'Alhambra. Il Conte Ory a Parigi. — I giovani maestri in Francia. La questione del Théâtre lyrique. L'inaugurazione del teatro Costanzi. — Le opere dell'antico repertorio. La stagione d'autunno. Speranze pel carnevale.

In Italia le questioni musicali son diventate questioni quasi esclusivamente commerciali; gli editori si contendono il campo in nome dell'uno o dell'altro maestro, e combattono guidati non già da criteri artistici ma dai proprii interessi. Non mancano i compari nel pubblico e nella stampa, ed ormai si è fatto difficile non solo il conoscere la verità intorno al successo di un'opera, ma eziandio, e più ancora, il discernere i successi legittimi da quelli ottenuti con mezzi dei quali i sinceri cultori dell' arte dovrebbero arrossire. Avviene da noi, come già da gran tempo in Francia, che il favore del pubblico non si misura più dagli applausi della prima sera e dalle relazioni dei giornali, ma dal maggiore o minor numero di rappresentazioni di un'opera. Perciò indugiammo alquanto a render conto del Rienzi di Wagner, rappresentato al Politeama Romano. Delle liete accoglienze della prima rappresentazione non osammo fidarci ; ora, invece, considerando che fu riprodotto per ben dodici sere e sempre con applausi, possiamo affermare che piacque veramente al pubblico romano. Ci duole di discendere a questi ragionamenti, ma che colpa abbiamo noi se il teatro musicale si trova ridotto in tali condizioni? Registriamo innanzi tutto i fatti: il Rienzi fu ben accolto in un teatro popolare dove s' entra pagando un mite prezzo, e da un pubblico in massima parte composto di persone che probabilmente non conoscevano il Wagner neanche di nome e che giudicarono secondo le impressioni ricevute. E invero il Rienzi è tal opera che, in alcune parti, soddisfa più il volgo che gl' intelligenti, quantunque racchiuda pure parecchie pagine che fanno presentire l'autore del Lohengrin. Primo lavoro teatrale d'un maestro che doveva poi dare

splendide prove dell'originalità del proprio ingegno, è un tessuto ineguale di stili diversi; di rimembranze di una scuola dalla quale, evidentemente, il Wagner prese le mosse; di aspirazioni non ancora bene determinate a un ideale che l'autore ha raggiunto più tardi. E in mezzo al passato e all'avvenire, un cumulo di volgarità che deturpano questo componimento musicale, pregevole per tanti riguardi. Il Rienzi, che contiene in germe le qualità del Wagner, ne palesa pure i difetti. Quelle si svilupparono nelle opere successive; questi in parte scomparvero e in parte rimasero. È scomparsa, senza dubbio, la volgarità, della quale non si trova più traccia nel Vascello fantasma, che nell' ordine cronologico viene immediatamente dopo il Rienzi, ma è, per avventura, aumentato quel fare prolisso che a torto si crede una conseguenza logica del sistema wagneriano, mentre invece, non è che il frutto del modo particolare di sentire dell'autore, e ci pare anzi la causa principale dei giudizii spesso ingiusti che vengono recati sull'indirizzo che il Wagner vorrebbe dare alla musica teatrale. Nel Rienzi il sistema non c'è ancora o, almeno, fa soltanto capolino; eppure ci sono le prolissità, e in tal copia, che alla rappresentazione si omette una buona parte dell'opera.

Nè è da credere che ciò avvenga solamente in Italia per l'indole del nostro pubblico insofferente. Avviene anche in Germania, e pel Rienzi e per tutte le altre opere del Wagner, nessuna delle quali, nonostante la proverbiale pazienza del popolo tedesco, vien rappresentata nella sua integrità. Il Wagner se n'è lagnato più volte, ha protestato. Sarebbe anche stato in poter suo di costringere gl'impresari o ad eseguire le sue opere per intero o a non eseguirle affatto. Ma egli non andò tant' oltre, perchè previde che, ponendo questo dilemma, le sue opere sarebbero scomparse dal repertorio tedesco.

Il Rienzi è ancora un dramma storico, e il Wagner, allorquando, togliendone l'argomento dal noto romanzo del Bulwer, ne scrisse, secondo il suo costume, i versi e la musica, non professava ancora i principii assoluti proclamati in appresso, sull'impossibilità di ritrarre musicalmente i grandi fatti e i tempi storici. Era sotto il fascino della musica di Spontini, e sebbene il Rienzi sia stato preceduto dal Guglielmo Tell, dagli Ugonotti, dall' Ebrea, tuttavia procede direttamente dalla Vestale e dal Ferdinando Cortes, come se i melodrammi storici di Rossini e di Meyerbeer non fossero esistiti. Certamente il Wagner camminava sulle orme di un illustre modello; ma poteva egli ignorare che il melodramma storico, col Guglielmo Tell e con gli Ugonotti aveva fatto un altro passo innanzi, o, per meglio dire, aveva mutato forma e procedimenti? Non è da supporre che non conoscesse queste opere; se ne tenne dunque lontano per deliberato proposito, e già in questo fatto si hanno i primi indizi dell'avversione profonda e insanabile che manifestò in seguito contro Meyerbeer e Rossini.

Egli aveva sposato le ire dell'autore della Vestale, che negli ultimi anni della sua vita accusava i suoi successori dell'ingiusto obblio in cui era caduto in Francia. Gli artisti di musica sono, in generale, pessimi giudici dei loro colleghi, per più ragioni. In primo luogo, quanto è maggiore e più splendida la così detta individualità di un maestro, tanto è minore la sua attitudine ad intendere ed apprezzare le altre manifestazioni dell'arte. Oltre a ciò, l'invidia è antica e grave malattia che li travaglia. Al Wagner ha nociuto, per questo riguardo, l'essere scrittore di vaglia. Egli ha lasciato testimonianze scritte de' suoi rancori, mentre altri maestri li hanno sfogati soltanto a voce. Qualche eccezione a questa mancanza di carità fraterna ci fu in passato e ci sarà ancora, non lo neghiamo; la regola generale, ad ogni modo, è quella da noi accennata. Non conviene dunque dar soverchio peso alle sentenze troppo ricise del Wagner, nè condannarlo severamente per una colpa che ha comune con molti altri maestri di musica suoi predecessori o contemporanei.

Tornando al Rienzi, esso dimostra quali fossero, riguardo all'arte, le tendenze giovanili dell'autore. L'opera tipo era per lui, senza dubbio, la Festale e, del resto, egli lo ha più volte dichiarato schiettamente. E siccome Spontini era un continuatore di Glück, così pareva che il Wagner intendesse proseguire per la via aperta dall'Orfeo, dall'Armida, dalle due Ifigenie Ma a lui mancava l'impeto drammatico di quei maestri. La ragione gl'imponeva di ammirarli; la qualità del suo ingegno, invece, lo allontano da essi. Glück, Spontini sono giganti dell'epopea musicale; Wagner è un genio essenzialmente lirico. Il Rienzi, checchè se ne dica, è il risultato di questa lotta, è l'opera di un compositore che si sforza di far proprio il modo di sentire altrui e non di rado vi riesce, mostrando però l'immensa fatica che gli costa.

Così dicendo, non intendiamo punto recar offesa alla gloria di uno dei più insigni maestri del nostro secolo; ci proviamo soltanto a determinare il suo posto nella storia dell'arte, e ci pare che il Rienzi, non ostante il suo carattere storico e drammatico, venga anch'esso in appoggio della nostra opinione, come quello che, salvo per alcune parti, è un tentativo dell'ingegno di Wagner in una via nella quale doveva necessariamente smarrirsi. Certo vi si ammira sempre il maestro di vaglia anche ne`suoi errori, e molte pagine pregevolissime contiene che farebbero onore a qualunque più illustre compositore. In alcune scene dell'atto quarto e in ispecie nella marcia religiosa, si può perfino presentire il Wagner del Lohengrin e del Tanhauser. La preghiera di Rienzi nell'atto quinto ha essa pure l'impronta schiettamente wagneriana. Ed anche nei pezzi che sono vere imitazioni di un altro stile, nelle danze, per esempio, che ricordano anche più del dovere quelle della Vestale, e nell'efficacissimo finale secondo che si direbbe scritto dal Mercadante o dal Pacini, vi è la grandiosità richie

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