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BAfoni quelle bellißime ginocchia piedi fignora Portia mia dolcif

fima, faporitißima più che Zucchero, cannella, &fenze Verata. O'ben mio finon fuffemo in piazza: non mi terrebono le cathene di fanto Leonardo ch' io non ti piantaffe un bacio a quelle labbra che mi fan morire.

S. VITT. Che portate di nouo Sanguino? SANG, M. Bonifacio vefi raccomanda, io vel racomando coẞi come i buoni padri raccomandano i lor putti d' maeftri.i.che fe eglino è faggio, lo caftighate ben bene, & fe volete vno che Sappia & poffa tenerlo a'cauallo: feruiteui di me.

S. VITTO. Ah ah ah,che volete dir per questo ? A

SANG Non l'intendete? non fapete quel ch' io voglo dire? Siete tanto fem

plicetta voi?

S.VIT. Io non ho queste malitie che voi hauete.

SANG. Se non hauete di queste malitie:hauete di quelle, di quelle, & di quell' altre. Et fe non fete fina come poffo efferio: fete come può essere un' altro. Hor lafciamo queste parole da Vento: vengamo al fatto noftro. Era un tempo che il leone & l'afino erano compagni andando infieme in peregrinaggio conuennero che al paffar de fiumi: fi tranaffero a vicenna: com'è dire:che una volta l'afino portaffe fo pra il leone, yn altra volta il leone portaffe l'afino. Hauendono dumque ad andar à Roma; & non effendo à lor feruiggio ne fcapha, ne ponte: gionti al fume Gariglano. L'afino fi tolfe il·leg ne fopra il quale natando verfo l'altra rina;il leon per tema di cafcare, fempre più più gli piantana l'inghie

ne la pelle di forte che a quel pouero animale gli penetrorno in fin all offa. Et il miferello (come quel che fa profeßione di patienza) paßʊ al meglo che pote fenza far motto. Se non che gionti a faluameto fuor de l'acqua; fi fcrollo' vn poco il dorfo, & fi fuolto” la schena trè quattro volte per l'arena calda, & pafforon oltre. Otto giorni dopó al ritornare che fecero:era il douero che il leo ne portaffel'afino. Il quale effendogli fopra per non cascar ne l'acqua: coi denti afferró la ceruice del Leone; cio' non baftando per tenerlo fú: gli cacció il fuo ftrumento,ò come voglam dire il tu m intendi,per parlar honeftamente al vacuo fotto lacoda,doue manca la pelle: di maniera ch'il leone fenti maggior angofcia che fentir poffa dona che sia nel pene del parto: gridando,ola“, olà, oi, sî ̧oi',eimé, ola traditore. a cui rifpofe

l'afina

l'afino in voltro feuero,&graue tuono. Patiëza fratel mio, vedi ch'io non hó alir unghia che questa d'attaccarmi. cofi fu neceffario ch'il leone fuffriffe sinduraffe fin chefuffe paffato il fiu me.A propofitoOmnio rers veciẞitudo efte.Etnifciuno è tanto groffs afino,che qualche volta venendogli d' propofito non fi ferus del occafione. Alchuni gi orni fá M. Bonifacio rimase contristato dicerto tratto ch' io gli feci; oggi all hora ch'io credeuo chefi fuffe desmenticato me l' há fusta peggio che non la fece l'afino al lione: ma io non voglo che la cofa rimagna cquá.

S.VITT: Che viha egli fatto? che volete vor fargli?

SANG: Ve diro'. oh.veggio compagni che vengono: retiriamoci

mo a' bellaggio.

parlare

S. VITT. Voi dite bene, andiamo in

noftra cafa, che voglo japer de cofe da

voi.

SANG. Andiamo,andiamo.

SCENA VI.

Lucia, Barro.

LVC. STarnuti di cornacchia,piè d'ostreca oua di liompardo.

BAR Ah ah ah,il fuo marito era dentro ad attizzar la fornace, à lauorar piú dentro io lauorauo co lei à la prima comera.

LVC. Che lauore il voftro? BA.I'lguioco de Zingani et che l'è fuo ri et che l'e'detro. & fe volete intedere il fucceffo per ordine: credo che riderete.. LVCIA. Digratia fatemi ridere;ch' io n'hó gran vogla.

BAR.Questa veichiazza barba di coc

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