ogni cofa. Quefti,quefti apportano parole,herbe,pietre,lino,lana, feta, frutti, frumento, vino,oglo: ogni cofa fopra la terra defiderabile da quefti fi caua. Quefti dico talmente neceffarij che fenza eßi,cofa nifciuna di quelle fi accapa, o fi poffede. Peró l'oro è detto materia del fole, e l'argento la luna: per che togli quefti dui pianeti dal cielo ; doue è la generatione delle cofe? doue e il lume dell' vniuerfo? Togli quefti dui de la terra: done è la participatione, poffeßione,& fruitione di quelle? Peró quanto harebbe meglo fatto quel primo animale,di porre in bocca al volgo quell vn folo foggetto di virtù,che tutti quelli altri tre fenza quest'vno. fe per ció non e' stato introdutto a' fin che non tutti intendano & poffedano: quel che io intendo poffedo. Herbe, parole, &pietre fon materia di virtù a' presso certi Philofophi matti, & infenfati; li quali odiati da dio,dalla natura; e dalla fortuna; fi vedono morir di fame; lagnarfi fenza vn pouerello quattrino in borfa: per tempraril toẞico dell' inuidia ch'hanno verfo pecuniofi;biafmano Poro argento & poffeffori di quello.Poi quando mi accorgo: ecco che tutti quefti vanno come cagnoli per le tauole de ricchi. vera mente cani che non fanno con altro che col baiare acquiftars' il pane. Done? á tauole di ricchi, di qué ftolti dico,che per quattro paroli a pro pofito da quelli dette, con certe cigla hirfute,occhi attoniti, & atto di marauigla:fi fanno cauar il pan di cafcia, danari dalle borse: gli fanno conchiudere con verità che in verbis funt virtutes. Ma Starebon ben frefchi,fi dal canto mio afpectaffero effetto de le lor ciancie: attefo che non fò ripafcere d'altro che di quelle medefme; chi mipafce di parole. Harfacciano conto di herbe le beftie,di pietre gli matti, & di paroli gli falta inbanco: ch' 10 per me non fo conto d'altro, che di quello per cui fi fá conto d'ogni cofa.Il danaio cotiene tutte l'altre quattro. A chi macha il danaio non folo mancano pietre,herbe, parole:ma l'aria, la terra,l'acqua, il fuoco, e la vita ifteffa. Questo dá la vita teporale; & la eterna anchora,fapendofene feruire,con farne limofina: la qual pure fi deue far congran dif crettione: non fenza faper il conto tuo deui priuar laborsa dell'anima fua. peró dice il faggio. si bene feceris, vide cui. Ma in quefta theorica non vi è guadagno. Ho intefo che è ordine nd Regno che gli carlini di vint vno non Vaglano più di vinti tornefi; io voglo andar prima che fi publichi l'editto à ca biar i tre che mitrouo interi il mio gar one tornará da predere il puluis Crifti. SCENA IL M. Bonifacio, M. Bartholomeo, BON.. Lucia. Lá M. Bartholomeo afOlá BAR. colta due paroli: doue in fretta; mi fuggi' ah? a BAR.Adio,adio, M.poco pensiero; hó affai meglo da far, che di ciaciarco gli voftri amori. BON. Ah ah, ah, andate dumque procuriate per quell' altra vostra, che vi fá morire. LVC. che motteggiameti fon questi vo Stri? fa egli che fiete inamorato? BON, Sá il mal an che dio li dia: è per che mi vede conuerfar con voi: Horal fatto noftro. che cofa dice la mia dolcißima fignora Vittoria ? LVC, La pouera fignora per neceßitá nellaquale fi troua,haue impegnato vn diamante quel fuo bel fmeraldo. BON. O' diauolo,o' che fortuna.. LVC. Credo che li farebbe cofa gratif fima figli le faceßiuo ricuperare. non Stanno per più che per diece feudi. BON. Bafta bafta: faró faró LVC. Il prefto e il meglo. BON. Oh, oh,perdonami Lucia à riuedercinon poffo darui rifolutione alchuna adeffo. ecco un mio amico col quale hó da negociar cofe d'importanza. A dio,a diò, LVC. A dio. SCENA III. Afcanio, Scaramure, Bonifacio. ASC.OH ecco M. Bonifacio mio padrone.Miffer fiamo cqui con il fignor eccellentißimo & dottif |