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der d'appresso se il mare potea permetter la fugà: ma egli era tuttor contrario e turbato. Là egli si stese sovra di un panno, e bevve una e due volte dell'acqua fredda. Quando le fiamme, e l'odor di zolfo che le precede fugan gli altri, scuotono lui. Si alza appoggiato a due servi,e subito cade, come io congetturo, soffogato dal denso fumo; tanto più facilmente che egli avea debole il petto, e spesso imbarazzato il respiro.

Quando tre giorni dopo cominciò a rivedersi la luce fu trovato il suo corpo intiero ed illeso, e coperto della medesima vesta. Giaceva più come addormentato, che come morto. Io era frattanto con mia madre a Miseno. Ma ciò niente interessa la storia, e non mi hai richiesto che della sua morte. Terminerò dunque, ed aggiungerò solo che tutto ciò che ti ho detto o l'ho da me stesso veduto, o raccolto dagli altri prima che potessero alterarne il racconto: tu sceglierai il più importante. Diverso è lo scrivere una lettera o una storia, all'amico o alla posterità. (Sarà continuato)

P.

SULLA FILATURA DELL'AMIANTO.

(Notizie date dalla sig. Candida Lena Perpenti, ed inserite nel num. XII del Giornale della Società d' incocoraggiamento delle scienze e delle arti stabilita in Milano.)

Possedendo il dotto e benemerito sig. canonico Cesare

Gattoni di Como una doviziosa raccolta di cose appartenenti alla storia naturale ed alle arti, mi prese vaghezza di esaminarla. Fra molti pregevoli oggetti fermò la mia attenzione un fuso carico di filo d'amianto, che il signor Gattoni mi disse essere stato rinvenuto fra le scoperte ruine di Erculano egli mi dimostrò anche qualche quantità d'amianto in istato naturale, e sembrandomi cosa non malagevole di riprodurne il lavoro, desiderai tentarne qualche esperimento. Gli piacque di assecondare il mio desiderio, e volle pure istruirmi sui diversi metodi riportati da varj scrittori in ordine alla filatura

di questo fossile, fra' quali mi propose un chimico del nono secolo, che insegnò doversi preparare l'amianto con alternative immersioni nell'acqua e nell'olio. Mi procurò anche dal Genovesato l'amianto su cui potere eseguire i miei primi tentativi.

Frattanto ne ottenni dalla gentilezza di alcuni signori della Valtellina, avendo saputo che trovavasi qualche ca va di amianto sulle montagne della Valle-Malenco.

Questa specie d'amianto si presenta d'ordinario assai compatto, e talvolta molto liscio. Procurai di svolgerlo, battendolo: lo immersi dappoi nell'acqua e nell'olio, e lo ridussi così a somma morbidezza; nà l'olio il rendeva costantemente molle, e perciò non atto alla filatura: tralasciai l'uso dell' olio, e col mezzo semplice dell'acqua il disciolsi, il feci quindi disseccare al solé, e presi a scardassarlo: ma non ne ottenni colle príme prove che un ammasso di filamenti corti e grossolani. Si trattava allora di raccoglierlo e disporlo in guisa da poter essere ritenuto con una certa resistenza simile a quella del lino avvolto alla conocchia per essere filato. Mi valsi a questo scopo di un pettine a denti doppj e frequenti, sul quale disposi l'amianto scardassato, ed a gran pena ne ottenni un filo ineguale e poco consistente. Ne formai tuttavia un pajo di guanti (*).

Dal sig. canonico Gattoni mi fu dappoi fornito l'amian. to delle montagne del Genovesato; ma giunse sì malconcio, infranto e frammisto a tanta terra, da non potersene trarre alcun profitto; ne scelsi però qualche picciola porzione, e coll'uso del pettine lo filai e ne formai fet

tucce.

Mi era grave di dover perdere inutilmente il restante; volli trarne qualche partito, e pensai di formarne della carta, frammischiandolo agli avanzi della filatura di quel

(*) Il pettine di cui mi sono valsa da principio, e che ho sempre usato, è formato a due ordini di denti o siano spille d'acciajo poste alla distanza di circa due linee l'una dall' altra.

Gli avanzi d'amianto alla filatura pratica col pettine si passano ai cardassi ordinarj da filugello, e dai cardassi stessi si trae un nuovo filo, ma più grossolano del primo.

lo della Valtellina. Procedetti alla formazion della carta col metodo ordinario, sostituendo ai cenci l'amianto lavato e separato da qualunque altra materia eterogenea.

La prima carta riuscì poco consistente, nè immaginai da principio che fosse facile il poterla consolidare colla gomma.

Trattando l'amianto valtellinese m'avvidi che vi si contenevano de'fili sottilissimi e di una lunghezza di dieci e più volte maggiore del pezzo in cui erano rinchiusi. Era impaziente di trovare il mezzo con cui svolgere questi fili, e dopo varie prove mi riuscì di scoprirlo strofinando l'amianto dopo che era stato ben battuto e reso flessibile, e tirando le due estremità in senso contrario. Ottenni in questa guisa i migliori fili, co' quali mi prefissi di poter eseguire qualunque più fino lavoro si potesse eseguire col refe e colla seta. Feci in fatti delle fettucce assai fine, de' pizzi ed un pezzo di stoffa di alcune braccia lavorata a foggia di raso, prevalendomi degli avanzi della prima filatura per tessere, e del filo più sottile per l'ordimento.

Ella fu per me cosa di aggradevole sorpresa il ritrovare in un fossile che non offre d'ordinario agli occhi se non dei filamenti grossolani e corti, fili sottili al par della seta, e da potersi svolgere in una lunghezza di più piedi, quasi che vi fossero aggomitolati come la seta nel bozzolo.

L'amianto di questa specie è atto a qualunque lavoro, e non esige altro processo che quello di essere per qual- che tempo immerso nell'acqua (sebbene se ne trovi di abbastanza pieghevole per se stesso da non abbisognare di preparazione), d'essere battuto, strofinato e disposto sull' indicato pettine, d'onde si fila senza la menoma difficoltà. Il filo è forte quanto quello della seta e del lino.

Per quante diligenze siansi praticate da chi s'interessò nel procurarmi amianto dal Genovesato, non si potè ottenerne di tale qualità, che per la lunghezza de'fili potesse paragonarsi all'amianto descritto dal sig. Haüy e che dice trovarsi in copia nelle montagne della Savoja e della Corsica. Ma qualunque fosse quello che mi

perven

ne,

ho potuto trasceglierne una porzione, che assogget tata alla lavatura e disposta sul pettine ho filato senza gran pena e colla sola precauzione d'intingere leggermente le dita nell' olio o nell'acqua di gomma; il filo però riuscì non molto consistente per la cortezza de' suoi elementi; ne feci ciò nondimeno opere a telajo.

Osservai che i pochi frammenti di antiche tele che mi avvenne di vedere erano formate a doppio filo, e da ciò congetturai che l'amianto usato dagli antichi non fosse di molta lunghezza, e che si ricorresse a questo espediente al doppio oggetto, e di rendere il filo abbastanza forte per sostenere l'urto del telajo, e di presentare una resistenza maggiore all'azione del fuoco nella combustione de' cadaveri.

L'amianto del Genovesato è più lucido, più leggere, più resistente alla violenza del fuoco che non lo sia quello della Valtellina, ed è del tutto simile all'amianto di cui sono composte le antiche tele.

Reca meraviglia come Plinio il naturalista avesse dell'amianto notizie tanto erronee, per crederlo nativo dei deserti dell' India i più arsi dal sole e dove non piove. mai, e per riputare che dal calore del clima contraesse l'incombustibilità. Veggasi il lib. 19, cap. I dell' Istor. Nat. di Plinio, pag. 617 della traduzione di Lodovico

Domenichi.

Sembrandomi che la carta d'amianto potesse riuscire di pubblica utilità, impiegai le mie cure nel perfezionarla. Nella seconda prova fatta in Ponte nella cartiera del sig. Giuseppe Cariani si ebbe difatti colla diligenza di quegli artefici un risultato assai soddisfacente. La carta riuscì consistente quanto si poteva desiderare, sufficientemente bianca, ed atta alla stampa ed alla scrittu ra. Nel secondo esperimento non si deviò punto dal primo metodo, dal metodo ordinario.

Questa carta, per quanto risulta dai fatti tentativi, non riceve la colla; ma vi si dà corpo e consistenza coll'acqua di gomma arabica, sciogliendo la gomma nel tinozzo della posta, prima di formare la carta, per evitare il tedio d'imbeverne dopo ogni foglio colla spugna:

l'immersione dei fogli nell'acqua di gomma non sarebbe eseguibile.

Formata la carta, restava da trovarsi un inchiostro che come quella sostenesse l'azione del fuoco; questo pure si ottenne con una mistura di un terzo di vitriuolo di ferro e due terzi di manganese sottilmente polverizzata. L'inchiostro così composto si adatta alla scrittura ed alla stampa.

Questi miei tentativi sono stati in solenne modo e replicatamente distinti dalla beneficenza di S. A. I. il Principe Vicerè e del governo. Io credetti di corrispondere in qualche maniera alle di lui viste rendendo pubblico il metodo da me usato nel travagliare l'amianto. Desidero di fornire occasione ad altri di migliorare questi travagli e di applicarsi segnatamente alla fabbricazione di una carta, che, oltre di non essere dispendiosa, ha sopra la comune il reflessibile vantaggio di non andar soggetta nè al pericolo del tarlo, nè a quello del fuoco.

Memorie della Famiglia Cybo e delle Monete di Massa di Lunigiana scritte da Giorgio Viani Socio di varie Accademie, e pubblicate in Pisa con le stampe di Ranieri Prosperi nell'anno 1898. Parte I e II di pagine 242 con tavole 14 in Rame. In 4° pale Franchi sette.

Per dare una giusta idea di quest'opera favorevolmente accolta dagli Eruditi abbiamo giudicato a proposito di riportare in luogo di estratto la seguente Lettera dell' Autore.

Ai Signori dell' Accademia Scientifico Letteraria di Massa di Lunigiana

Giorgio Viani.

Il Libro, o Signori, che vi presento col titolo di Memorie della Famiglia Cybo e delle Monete di Massa di Lunigiana contiene lo squarcio più brillante e sicuro della storia della vostra Patria. Tutto ciò, che fu scritto, oppure si dice per tradizione anteriormente a quest'epoca o è poco interessante, o soggetto a critico letterario contrasto.

Comprende la prima parte le notizie dei Principi Cybo e una porzione di quelle della famiglia Malaspina, che precedette nel dominio i suddetti, ed a cui dopo varie vicende spontaneamente si sottopose il popolo di Massa colle famose convenzioni del dì primo di Giugno 1442, le quali servono d'infallibile testimonianza per provare la libertà, di cui allora godeva la gente del territorio massese. Benchè colui, che scrisse la dedica dello Statuto di Massa per adulare soverchiamente il Sovrano abbia di troppo avvilita la condizione del vostro paese e dei suoi abitanti prima che passassero sotto il governo dei Cybo; pure confessare conviene che quel

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