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Les Martyrs etc. I Martiri ovvero il Trionfo della Religion Cristiana di F. A. de Chateaubriand ( Articoli inseriti nel Giornale dell'Impero).

ARTICOLO PRIMO.

Questo libro era celebre ancor prima di esser pubblicato. Se ne parlava come di un'opera che aumentar dovea l'erario della nostra letteratura, sostener la religione scossa dagli attacchi della falsa filosofia; e decidere al fine questa gran questione: se possano esistere poemi in prosa. Questa ultima vittoria era tanto più difficile ad ottenersi, in quanto che non mancavano alcuni che pure al poema descrittivo, sebbene scritto in versi, ricusassero il nome di poema.

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È privilegio dei gran talenti che tutte le lor produzioni eccitino un vivo interesse, facciano una profonda impressione negli animi; e per questa ragione appunto possano, impadronitisi della pubblica opinione, del pari purificare o corrompere il gusto. Il Sig. di Chateaubriand è fra quei pochi scrittori che tuttor viventi già fanno autorità nelle lettere; e convien confessare che egli merita per molti lati una tal distinzione, a sì pochi concessa. Egli ha portato al più alto grado le attrattive, e oserei dir, la seduzion dello stile.

Questa parola esprime in fatti meglio di alcun'altra le sensazioni che si provano in leggendo le opere del Sig. di Chateaubriand. Niuno ha saputo meglio di lui abbellire il deserto, popolar di fantomi le vaste solitudini, esprimer la voce dei gran torrenti, aprire ai nostri sguardi l'immensa corteccia che cuopre le montagne, unir l'amore alla religione, la fola alla verità, le imagini poe

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tiche alle cristiane esortazioni, e dipinger la morte e la

tomba.

Ma questa specie di tirannia che il talento dell' autore esercita sul nostro spirito, con la sua forza medesima ci avverte di opporli tutta la nostra ragione, onde non lasciarci strascinare in quelle strade ingannevoli nelle quali talvolta si smarrisce la di lui imaginazione; che egli sparge per altro dei più vaghi fiori, come per invitarci a seguirvelo. Per resistere e un tale incanto, io debbo dunque armarmi di diffidenza, di sangue freddo, e ben anche di stoicismo; precauzioni che forse saranno inutili, poichè osando cercar dei difetti in un autore, che già si pone fra il Tasso, e Fenelon, io temo molto di soccomber sotto il peso di una riputazione troppo forse prematura, ma così ben giustificata da atterrir la critica.

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lo non mi occuperò in questo primo articolo se non se della prefazione, che, sebben brevissima, tende a stabilir dei principj che mi sembrano errori pericolosi, e contro i quali non possono abbastanza premunirsi i lettori di già sedotti dai prestigj brillanti coi quali ha l'autore saputo circondarli. Ecco come incomincia. Io ho avanzato in una mia opera antecedente che la religion ,, cristiana sembravami più favorevole del paganesimo allo sviluppo dei caratteri, e al maneggio delle passioni nell'epopea. Io ho detto pur anche che il maraviglioso di questa religione potea forse lottar con quello ,, tratto dalla mitologia. Procuro adesso di appoggiar con ,, l'esempio queste opinioni più o men combattute.,,

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Se l'autore pago di aver emesse queste proposizioni, non avesse tentato di confermarle con opere scritte se condo questo sistema: se anche le di lui opere, ed i di lui talenti non fossero di tal natura da invitare gli imitatori, pur troppo numerosi in belle lettere, io non insorgerei contro la di lui opinione. Ma poichè il nome, ed il merito dello scrittore avranno una troppo maggiore influenza sulla imaginazione ed il gusto della gioventù, conviene affrettarsi di attaccare e distruggere dei principj, che aver possono dalle funeste conseguenze.

D'altronde si 'dee qui osservare che il sig. di Chateaubriand non afferma se non una di queste due proposizioni: in quanto all' altra egli ha creduto soltanto che il maraviglioso della nostra religione possa forse lottare contro il maraviglioso della mitologia. Questo forse mi dà un gran vantaggio, poichè se uno di questi principj non è sicuro, l'altro può esser dubbioso; ed io ho perciò diritto di dire all'autore che forse egli si è ingannato, e che forse in seguito ei medesimo riconoscerà il suo

errore.

Il Sig. di Chateaubriand non ha per certo avuto intenzione di corrompere il nostro gusto in belle lettere: troppo bene ei conosce gli antichi esemplari del bello perchè possa in lui supporsi una simile idea. Ancor meno può attribuirsegli il disegno d'indebolire il nostro rispetto per la religione: ciò non potrebbe sospettarsi senza mala fede. Il Sig. di Chateaubriand è certamente un uomo pio ed onesto: la religione è stata fino ad ora la di lui musa favorita; ed ha pagato i di lui omaggi con una abbondante ricompensa di gloria; onde non è da temersi che ei sia mai per divenirle ingrato. Come può dunque essere che con intenzioni così lodevoli egli abbia composti due volumi onde appoggiar dei principj nocevoli egualmente alla religione ed alla letteratura? Ciò per altro io credo di poter dimostrare: poichè tal è la forza della ragione, che sebben priva dei soccorsi del talento, e delle attrattive dello stile, giunge in fine a trionfare dello spirito più brillante.

La religione cristiana, dice l'autore, mi sembra più favorevole del paganesimo al maneggio delle passioni nell'epopea. Come mai non ha egli compreso che questa opinione è una vera eresia? La religion cristiana ben lungi dal favorire il maneggio delle passioni, non si presenta se non se per combatterle, o per procurare di preservarcene. Nel paganesimo al contrario tutto è pass.one, sensazion viva, disordine, e movimento tumultuoso, qualità essenziali alla poesia. Il cielo dei pagani è ripieno di virtù, di passioni, e anche di vizj; noi vi troviamo dei colori atti a dipinger tutto. Il nostro offre solo una

perfezione assoluta, severa, inalterabile, e non ci permette alcun sentimento fuor che il rispetto, il raccoglimento, e l'umiltà. La mitologia pagana ci offre i mezzi d'idoleggiare tutti gli esseri metafisici, che sarebbero freddi se non prendessero un corpo, e non parlassero ai sensi. Ma quali sono gli abitatori del cielo cristiano che possano sostituirsi agli esseri mitologici? Qual dei nostri angeli o dei nostri santi, si incaricherà della bilancia di Temi, della spada di Marte,della benda d'Amore, dell'olivo della Pace, del martello di Vulcano, degli otri di Eolo? Chi terrà luogo delle Grazie, necessario corteggio della bellezza? Chi in fine oserete voi adornare del cinto di Venere? Voi mi direte, che sopprimerete tutto ciò. Io mi taccio allora e lascio parlar Boileau, del quale voi certo rispettate l'autorità.

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Bientôt ils défendront de peindre la Prudence,

De donner à Thémis ni bandeau, ni balance;

De figurer aux yeux la Guerre au front d'airain, Ou le Temps qui s'enfuit une horloge à la main; Et partout des discours, comme une idolatrie, Dans leur faux zéle iront chasser l' Allégorie. (a) Se voi al contrario fate un miscuglio della religion pagana e della nostra, oltrechè ciò ferisce il rispetto che si deve a quest'ultima, ci riconducete in quei secoli di barbarie, nei quali si faceva assistere Giunone Lucina al parto della Vergine, si osava dar a Gesù Cristo il nome di Apollo, ed un papa soffriva che si chiamasse Giove.

Il maraviglioso della religione Cristiana potrà forse lottare, dite voi, con quello tratto dalla mitologia. Io son sorpreso che un uomo così religioso non abbia compresa la sconvenienza di questa espressione: senza dubbio il cristianesimo è ripieno di meraviglioso: ma questa parola non diviene ella un'ingiuria, allorchè si pone in confronto con quel della favola? Se alcuno osasse paragonare le due religioni servendosi della parola mitologia, non

(a) Essi vieteranno ben presto di dipinger la Prudenza, di dare a Temi la benda e le bilancie, di rappresentare agli sguardi la Guerra dalla fronte di bronzo, e il Tempo che fugge con l'oriuolo; ed animati da un falso zelo, cacceranno l'allegoria dai discorsi, giudicandola idolatria.

sarebbe forse accusato di bestemmia? È però certo che la parola meraviglioso presenta la idea medesima, allorchè si applica nel tempo stesso alla favola e al cristiane

simo.

L'autore ci dice in seguito, che egli ha cercato un soggetto che riunisse nel medesimo prospetto il quadro delle due religioni . . . . . un soggetto nel quale il linguaggio della Genesi potesse farsi udire dopo quello dell' Odissea, nel quale il Giove di Omero venisse a porsi a lato dell' Jehova di Milton ec. Ma l'Jehova di Milton non è forse il nostro Dio? È egli decente di farlo seder presso a Giove? Convien far tutto questo, aggiunge l'autore, senza ferir la devozione. Ma ciò è possibile? Non è ella già abbastanza ferita da una tal unione? Jehova, dirà egli, vincerà il Dio del paganesimo. Ma il solo paragonarli, il solo porli in opposizione è al di là del dovere. Qual mai vergognosa vittoria è quella del vero Dio sopra Giove!

Ma trascurando il disgusto che questa idea può cagionare in un animo religioso,non debbono elleno temersi le conseguenze di una simile unione? Già abbastanza degli autori, come i Boullenger, i Freret, i Diderot, han cercato di rompere questo sacro legame della società, e di persuadere ai popoli che la nostra religione è un'imitazione del paganesimo. L'unir sempre gli oggetti del nostro culto con le follie dei pagani, non è un favorir questo sistema, che può avere, come è già accaduto, delle conseguenze funeste? Mostrando insieme Jehova e Giove, la verità e l'errore, il sacro ed il profano, non si accostumerà il popolo a confonderli? Dopo aver veduto le due specie di maraviglioso disputarsi l'onor di piacere alla sua imaginazione, il lettore non sarà tentato di darli il nome comune di mitologia? Quante cose non potrei io aggiungere a queste riflessioni! L'obbligo in cui mi trovo di arrestarmi è per sè stessa una prova del pericolo di questo sistema.

Io non aggiungerò che una parola riguardo alla poesia. La favola è la sorgente feconda alla quale attingono tutti i poeti: ella ci presenta sotto un velo piacevole le verità severe,che nella loro nudità spaventerebbero la no

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