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ma de'suoi famosi libri degli Ufficj, e tra i moderni Fontenelle che dall'opera del Van-Dale trasse la sua ingegnosa storia degli oracoli; disegno, che ben condotto, avrebbe forse superato il merito del compendio Francese, ma che divenuto ineseguibile fece cadere perfino l'utile pensiero di una semplice versione di questo; nuova conferma della nota sentenza del dotto Cardinal Pallavicini, che l'ottimo è il massimo nemico del bene. Fu adunque sorte che diversamente pensassero e il Veneto Patrizio, e il Ch. Ab. Bocchetti; ma sempre è vero che malgrado le loro cure ben poco sappiamo e del Sarasa dell' opera, quale fu da lui originariamente dettata.

Quello che pare più strano si è che mentre impariamo dalla Prefazione Francese, premessa al Compendio, che il Sarasa fu celebre nelle Mattematiche come nelle scienze morali, e che quest'opera di lui fu lodata dai dotti sì Cattolici che Protestanti, e tra questi da un Weigel, da un Leibnitz, e da un Wolfio, non troviamo nella Biblioteca Belgica del Foppens menzione alcuna nè di lui nè dell'

opera sua.

Comunque sia di ciò, nel Catalogo degli Elzeviri del 16-4 leggonsi registrate due opere del Sarasa, una delle quali è,, Solutio problematis a Mersenno propositi. Antuerp. 1619; l'altra (che è la nostra),, Ars semper gau dendi in 4 Antuerp. 1664 2 tom. Troviamo poi uel Dizionario Storico di Feller questa opera stessa col titolo. medesimo, ma compito così,, Ars semper gaudendi demonstrata ex sola consideratione Divinae Providentiae Antuerp. 1664 in 4; e vi si aggiunge inoltre la seguente,,De laetitiae perfectae artificio in conscientia recta invento. Antuerp. 1667 in 4. Se questa seconda sia opera dalla prima diversa, oppure la stessa sotto altro titolo ristampata, neppure il possiamo sapere; ciò solo che sembra doversi notare si è che l'ultimo capitolo del Compendio che abbiamo della prima opera, tratta specialmente dell'influsso della buona coscienza nella nostra felicità; dal che sembra potersi inferire che la seconda opera non differisse dall' altra che nella sola intitolazione; se non che, limitandosi ivi il discorso all'effetto par

ticolare della retta coscienza nel liberarci dal timor della morte, e nel conservare la quiete dell'animo all'aspetto dell'ultimo nostro fine, potrebbe credersi ancora che il Sarasa in quella seconda opera sua avesse avuto particolarmente in mira il grande oggetto di rendere gli animi umani superiori al terrore che può loro cagionare l'idea della morte, come lo ebbe Cicerone nel primo libro delle sue Tusculane. Senza però più trattenerci in ricerche riguardo alle opere autografe del Sarasa sfortunatamente a noi ignote, giova parlare del Compendio di esse che la traduzione da noi aununziata rende ora noto all' Italia.

Sembra in sulle prime che il titolo appostogli dal traduttore Francese non bene corrisponda a quello dell'autografo latino; e ciò si vuole ammettere, ossia che si ponga mente al solo materiale suono delle parole, ossia che si consideri la cosa giusta le idee volgari e non se condo i sodi principj della morale cristiana Filosofia; ma se si guarda a fondo, facile riesce il persuadersi del contrario.

Già non sarebbe gran fatto che l'intitolazione France se, ed ora Italiana, non eguagliasse la precisione, e diremmo anche il pregio della latina, poichè fu già osservato da un nostro rinomato e valente Maestro dell'arte di compor libri, che la Lingua latina ha, come la greca, per l'intitolazione di essi, notabile vantaggio sopra la nostra, e più ancora sopra la francese, il genio delle quali appena comporta quella brevità, con cui l'idioma latino spiega ad un tratto le due cose che devono tosto affacciarsi a chi apre il libro, il nome cioè dell' Autore, ed il soggetto. Il solo carattere della lingua pertanto basterebbe a giustificare quella più lunga intitolazione sostituita al breve, e sugoso titolo Ars semper gaudendi, presupposto ancora che a queste sole parole fosse ristret to nell'autografo, quando però si raccoglie dal Dizionario del Feller che esso era in effetto più lungo e più pieno.

Il pensar poi che all'arte di sempre godere non corrisponda l'arte di esser sempre tranquillo, e che sieno co

so tra loro diverse l'allegrezza e la tranquillità, il gaudio e la quiete dell'animo, egli è funesto errore di quegli uomini soli, che un sagace filosofo del secolo ora scorso chiamò sregolati e al tutto dissoluti, perchè lo spirito loro cade nell'inazione e nel nulla se non è trasportato, in certo modo, fuori di se da grandi scoppi ́di riso o da piaceri sensuali, uomini ch'egli perciò argutamente paragona a coloro che per difetto di costituzione hanno bisogno di liquori spiritosi per sostenersi, perchè affine di essere di buon umore hanno necessità di abbandonarsi ad una gioja eccessiva, e sfrenata. Siate tranquilli, dice egli poi agli uomini tutti, dopo aver così rappresentato quelli infelici illusi, siate tranquilli, questo deve essere l'unico vostro precetto. La tranquillità adunque dell'animo è la sola vera allegrezza del Savio,e l'arte di godere altra non è che l'arte d'esser tranquillo; nè altra fu la sentenza de' filosofi antichi tramandataci da Cicerone, dove distingue e definisce le umane passioni secondo i principj degli Stoici se l'animo è commosso a norma della ragione, egli dice, placidamente e con moderazione, ciò chiamassi gaudio: se poi l'animo eccessivamente esulta, quella è allegrezza tripudiante e soverchia, che definiscono un irragionevole trasporto. Ora se tale è la vera allegrezza del Savio Pagano, molto più deve esser tale il gaudio del Savio Cristiano; gaudio che gli è quasi più comandato che consigliato dal sommo autore della natura per bocca de’suoi Ministri da lui inspirati, e gaudio di cui questi gli se gnano eziandio l'oggetto, vale a dire quel Dio medesimo che è fonte e principio d'ogni felicità e d'ogni bene: Rallegratevi sempre nel Signor nostro, rallegratevi sempre: ecco il gran detto di S. Paolo, che forma la base dell'opera di cui parliamo, e che l'A. svolge e dimostra in questa maniera.

Stabilito con quelle divine parole dell'Apostolo il principio che l'uomo deve godere e goder sempre in Dio, ne viene da se la conseguenza che è connaturale non che possibile all'uomo una contentezza stabile in questa vi

ta, una tranquillità durevole e costante, in cui l'animo sempre sodisfatto (p. 3, 4).

Succede poi la questione quale sia il mezzo di conseguire tale tranquillità, e contentezza (p. 7); e la questione si risolve con dire che il mezzo più sicuro a tal fine si è di convincersi della providenza divina regolatrice suprema degli eventi mondani. Spiega quindi e dimostra (p. 24 e seg.) la sua sentenza in tre parti distinte, provando nella prima che esiste una providenza divina, e togliendo nella seconda i dubbj che sogliono opporsi all'esistenza di essa; nella terza poi adattando la stabilita dottrina all'uso pratico della vita, onde tenere in calma ed in quiete gli animi umani in mezzo a qualunque possibile rivolgimento di cose (p. 158).

A tutti son noti i particolari Trattati di Seneca sopra la providenza, la tranquillità dell'animo, e la vita beata.. Non resta il N. A. dal far uso all'uopo suo delle sentenze di quel filosofo, come di quelle d'Epitteto e d'altri pagani; ma gli argomenti principali ch'egli trae dagli Scrittori inspirati e Sacri sono di tanto superiori ai raziocinj di que' gentili, quanto il sono le cose divine alle umane, le vere alle false, alle ombre la luce.

Non è qui luogo nè di rinnuovare il parallelo della morale Cristiana con quella degli antichi filosofi maestrevolmente fatto dal P. Mourgues un Secolo addietro (Paris 1700), in cui luminosamente risplende la superiorità de' precetti di Cristo sopr i dettati de' Savj pagani, non per l'eterna soltanto, ma ben anche per la temporale felicità del genere umano; nè di recar le varie gra vissime Sentenze dei Padri e Santi della Chiesa, tra i quali il dolcissimo Francesco di Sales, dimostrata la contradizione che regna nella morale pagana, anzi la mostruosità di essa e nel suicidio, e nell'abbandono della prole debile ed indisposta, e perfin nell'uso infame e ferino di procurar l'aborto onde scemare l'importuno numero di essa, conchiude sagacemente che le virtù dei gentili furon così dalle virtù vere diverse come l'onore lo è dall'onesto, e l'amore del merito dalla brama del premio; e che siffatte virtù sono da paragonarsi alle luccio

le, nel bujo della notte lucentissime, ma prive d'ogni splendore all' apparire del giorno; nè di rammentare perfine le tante benefiche riforme ne' costumi, di cui il genere umano è debitore al Vangelo, riforme encomiate dagli stessi miscredenti o irreligiosi filosofanti.,, Il Van,, gelo, scrive il famoso Gian-Giacomo, è, nella sua morale, il solo sempre sicuro, sempre vero, sempre uni,, co, sempre simile a se stesso, carattere infallibile della divina rivelazione, prova che dispensa da tutte le altre

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E che non dissero della sovrana benignissima influen. za della legge divina nella felicità dell'uomo tanti eterodossi celebratissimi, anche tra quelli che han fama di belli ingegni? Il famoso compatriotto del N. A., Ugone Grozio, propugnatore della verità del Cristianesimo, non da altro fonte che dalle Sacre carte trasse i più validi e soavi argomenti di conforto, di quiete, e di gioja eziandio nelle sue ed altrui gravi sciagure; ed il rinomatissimo Socrate moderno sfida l'incredulo a trovare altro sistema di religione efficace quanto la Cristiana a stabilire la privata e pubblica quiete; in mezzo ai mali che lo minacciano si getta nelle braccia dell' Ente supremo che dispone gli eventi e regola l'avvenire; in lui si abbandona persuaso ch' Ei volgerà i mali stessi in suo vantaggio, trionfa in vedersi circondato dalla potenza divina, e versa le sue amarezze nel seno di quel tenero padre dell' universo.

Ma troppo sono luminosi e sublimi i pensieri di un uomo per ingegno, per dottrina, e per vicende famose a' tempi nostri, perchè possiam restare dal dar qui almeno un saggio di quelli che toccano direttamente il nostro oggetto, e che saran forse nuovi per varj, anche colti, Italiani,non essendo peranco molto diffusa tra noi l'opera egregia, in cui si leggono espressi, con l'energica trionfante eloquenza del cuore, da un uomo di mente che giunse felicemente a conoscere che gli occhi suoi eransi aperti al vero, onde egli disse eratis aliquando tenebrae: nunc autem lux in Domino, (Le Pseautier en Français ec.par Jean François - Laharpe; Par. An. XII.-1804. Disc. Prelim. )

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